di Gianfranco Paris:
di Gianfranco Paris:
Nel PD reatino anziché l'analisi delle cause della notevole diminuzione dei voti registrata in provincia di Rieti, resa ancor più necessaria dalle dimissioni del segretario provinciale e del presidente dell'assemblea provinciale, si registrano interventi a ruota libera di alcuni carneade della politica che la dicono lunga sulla crisi di questo partito che era nato addirittura con ambizioni di maggioranza assoluta, mentre il potere di guida sembra totalmente passato nelle mani del presidente della Provincia, un uomo buono per tutte le stagioni.
Il PD nacque in Italia con la regia di Veltroni ispirandosi al modello del partito democratico americano. Esso avrebbe dovuto raccogliere forze politiche di diversa estrazione accomunate dal comun denominatore del rispetto delle regole classiche della democrazia. Ma nacque molto male perché riuscì appena a mettere insieme una parte degli ex comunisti, una parte degli ex democristiani della prima repubblica con la sporadica partecipazione di frange assai minoritarie in rappresentanza della cultura laica tradizionale, che vi entrarono a titolo personale.
Tra gli ex democristiani si infiltrarono alcuni cattolici di stretta osservanza che subito dimostrarono di essere arrivati più per tutelare gli interessi della curia vaticana che per dare un contributo ad un incontro tra le due culture. Il risultato fu che Il PD perse le elezioni, e sparirono dal parlamento tutte le frange estreme a sinistra dello schieramento politico. Questa grave sconfitta elettorale di marca veltroniana generò l'effetto di un ritorno al passato come se fossimo ancora ai temi della DC e del PCI. Anziché analizzare le cause del fallimento, si preferì pensare, come si faceva una volta, ad una nuova alleanza di potere con l'UDC. Questa scelta di campo ha ancor di più annebbiato le idee degli elettori che alla successiva tornata elettorale regionale, quella di pochi giorni fa, ha punito ancor di più questa linea.
La disfatta del PD a Rieti e Provincia proviene da questa impostazione. Melilli è stato rieletto presidente della Provincia due anni fa perché ha accettato i voti dell'UDC e ha avuto il placet, sia pur “obtorto collo”, dai partiti dell'estrema sinistra. Quelli di Di Pietro si sono subito accontentati di qualche poltrona, dimostrando come all'IDV predicano bene ma razzolano male. Poco prima dell'ultima campagna elettorale, quando l'UDC decise di appoggiare la Polverini, candidata del centro destra, Melilli si esibì in uno dei suoi numeri preferiti. Aspettare dando l'impressione di reagire allo strappo, congelando gli assessorati affidati ai due rappresentanti dell'UCI.
I partiti della sinistra estrema, anziché approfittare dell'occasione per pretendere una sterzata a sinistra si sono adagiati al silenzio assordante imposto da Melilli. Una incapacità di strategia politica che dimostra chiaramente come è ridotta la politica locale. E' chiaro che Melilli punta a portare il PD alle prossime elezioni dritto dritto verso una nuova alleanza con l'UDC, e ciò in armonia con tutti coloro che nel PD perseguono questa linea in campo nazionale, D'Alema, Franceschini ecc.. Questa è la negazione dell'obiettivo della costituzione in Italia di un PD fratello minore del PD degli USA, oggi ancor più possibile per la fuoriuscita di quelle frange clericali alla Binetti che si sono allontanate a causa della scelta della candidatura di Emma Bonino a Governatrice del Lazio.
E ad essa non possono certo ispirarsi tutte le forze politiche oggi presenti sulla scena politica locale che alle ultime elezioni, pur in una condizione difficile hanno dimostrato di contare un 18,70% : IDV di Di Pietro 5,93%, Rifondazione comunista 3,70%; Lista Bonino/Pannella 3,17%; SEL 3,06%; PSI 2,84%. Franco Marini, autorevole esponente del PD, al convegno di Valmontone organizzato dall'ex repubblicano Enzo Bianco, ha dichiarato che il PD, se vuol far sopravvivere il suo progetto iniziale, deve favorire l'inserimento in modo organico della componente laica, oggi quasi assente, nel suo seno, l'unica che può avere la funzione di cemento tra le due componenti classiche degli ex comunisti e degli ex democristiani.
A Rieti questa componente esiste e si è manifestata chiaramente con quel 18,70% appena citato. Sono tornati all'ovile del centro sinistra anche i voti dei repubblicani che Saletti aveva indirizzato a destra, repubblicani che a Rieti erano stati sempre presenti fin dal primo dopoguerra e che erano stati determinanti per la svolta a sinistra del dopo centrismo. Questa volta i repubblicani reatini, in assenza del PRI di Saletti annullatosi nella scelta di destra, hanno concorso al successo della Lista Bonino/Pannella riconoscendo la loro identità politica nella mia candidatura. Del resto Repubblicani e Radicali marciano da sempre nello stesso solco della matrice laica di marca risorgimentale e spesso sono stati alleati nelle campagne elettorali nei sessantanni della vita della Repubblica italiana.
Ma Melilli a Rieti anziché guardare a sinistra, guarda al centro inseguendo l'UDC e, all'interno del PD, il dibattito a ruota libera dei carneade sembra assecondare questa situazione. Mentre i partiti della sinistra tacciono con un silenzio che somiglia tanto ad un suicidio. Se per vincere le elezioni Melilli, e quindi il PD, preferisce allearsi con la truppa dei “casiniani” il progetto iniziale voluto da Veltroni è definitivamente morto. Se invece si vuol essere coerenti con gli scopi della nascita di quel progetto allora bisogna rompere con l'UDC perché l'UDC è un partito di clericali ed inserire nella Giunta provinciale tutti i rappresentanti della sinistra dando loro la possibilità di operare per recuperare ciò che l'UDC ha fatto perdere al PD. Tutto questo richiede una politica di ampio respiro e di medio termine alla quale Melilli non è aduso.
Egli preferisce esercitarsi nella più facile politica delle alleanze con gli ex democristiani, attenti come lui all'esercizio del potere. Così dopo aver congelato prima delle elezioni i due assessorati affidati a rappresentanti dell'UDC, venerdì scorso ha di nuovo restituito le deleghe e reintegrato l'UDC nella sua Giunta, insieme all'IDV e al PSI, con il consenso di questi ultimi, come se nulla fosse accaduto! Intanto la componente degli ex comunisti interna al PD è tutta impegnata nella gestione delle varie poltrone che sono riusciti ad acciuffare con la rielezione di Melilli e con il concorso trasversale di spezzoni del centro destra sempre di più dediti alla consumazione degli inciuci più sfacciati. Così il dibattito interno a quel partito, ma anche negli altri partiti della sinistra, è sparito. Le dimissioni di Rinaldi avrebbero dovuto stimolare un dibattito chiarificatore anche al fine di ripartire dopo la sconfitta.
Ma la cosa non interessa né a Melilli, che così rimane il padrone di fatto del PD, né ai notabili ex comunisti che vivono all'ombra di pingui gettoni. Disse un giorno il regista Moretti al tempo della politica dei girotondi: “con questi dirigenti non si va da nessuna parte”. Mai profezia fu più tragicamente attuale. Come volevasi dimostrare!