E’ critica anche l’informazione sugli episodi critici nel carcere di Rieti

L’ennesimo episodio di violenza nel carcere di Rieti, riportato dal sindacato SAPPE, fa notizia fino ad un certo punto: non stupisce che episodi del genere accadano anche nell’istituto di Rieti, un tempo “isola tranquilla”, avendo anch’esso sperimentato rivolte con morti, sciopero della fame finito con morte, proteste pacifiche, suicidio.

Quello che però è nuovo è “nella” notizia: da tempo segnaliamo come un problema il fatto che quanto accade nel nostro istituto sia monopolio di comunicati sindacali, che per ragione sociale sono “di parte”.  In questa comprensibile ottica, i sindacalisti pongono l’accento su quanto purtroppo accade e debbono subire gli agenti, cui è dovuta tutta la solidarietà e che a Rieti si dice si siano comportati sempre con correttezza e umanità.

Così però si capisce sempre poco, e nessuno dei lettori è portato a chiedersi, quale sia stato il fatto/la richiesta scatenante dell’episodio; quando il comunicato è generoso, vengono riferiti con espressioni come “motivi futili” o “senza giustificazione”.

Questa volta però, si verifica un fatto inedito: lo stesso sindacato riporta due diverse versioni dell’antefatto dell’aggressione.
Il segretario del SAPPE Lazio scrive alla stampa locale che “L’uomo, ristretto di nazionalità italiana, nella tarda serata ha preteso, con varie scusanti, di essere visitato dal medico di guardia, il quale, coadiuvato dal Sovrintendente ed altro personale di Polizia Penitenziaria, si è recato presso la cella. Entrati all’interno, il medico constatava una simulazione di malessere da parte del detenuto, il quale, a sua volta pretendeva che gli fossero consegnati dei farmaci

mentre Osapoggi.it, sito web nazionale dello stesso sindacato riporta che:

“L’episodio ha avuto inizio quando il recluso, senza alcun motivo apparente, ha preteso di essere trasferito in isolamento. Al rifiuto del Sovrintendente, l’uomo ha inscenato un tentativo di suicidio, seguito da una simulazione di crisi epilettica. Il Medico di turno del carcere, intervenuto tempestivamente, ha smascherato la simulazione”

Non abbiamo elementi sufficienti per capire, anche se una richiesta di andare in isolamento ed una richiesta di farmaci fanno pensare ad una difficoltà psichica che non stupisce. Quello che vogliamo sottolineare è però l’evidenza conclamata, da questa singolare doppia descrizione, della incompletezza o approssimazione della comunicazione sindacale e l’invito ai media di tenerne conto.

L’auspicio è che la futura nomina di un Garante Comunale possa anche aiutare nella comunicazione e nella conoscenza di quanto avviene all’interno dell’Istituto. Nel frattempo, in attesa dell’esame ed approvazione del nuovo regolamento, del bando e della nomina, l’associazione ha avuto dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria l’autorizzazione alla visita inizio settembre, nella quale accompagneremo l’assessore Giovanna Palomba ed i consiglieri Rosella Volpicelli, Giovanni Grillo e Carlo Ubertini.

L’informazione e la conoscenza sono ancor più necessarie a livello nazionale per affrontare la situazione carceraria che è ormai esplosiva. Questa conoscenza si sta diffondendo ormai a livello politico, ma è ancora insufficiente nell’opinione pubblica, di cui la politica è più follower che leader. Per questo come associazione abbiamo aderito alla richiesta, partita dal gruppo Europa Radicale, che la RAI parli di carcere in prima serata, con tutte le professionalità che vivono gli istituti di pena, avvocati e personalità che se ne occupano da anni. L’appello è consultabile e sottoscrivibile su https://europaradicale.eu/appello-alla-rai-per-speciale-carceri-in-prima-serata/

Carcere: “Non c’è più tempo” ma la risposta di governo e città è lenta.

Denso di contenuti il convegno “Non c’è più tempo”, tenuto martedì 9 dalla Camera Penale di Rieti.

Il tema era quello della situazione drammatica del sistema carcerario, che vede quest’anno superare ogni statistica di affollamento e di suicidi, sia dei detenuti che del personale (spia quest’ultima, più di ogni altra, del malessere dell’istituzione).

Il “Non c’è più tempo” si rispecchia peraltro nella crescente sofferenza che, acuita dal caldo estivo, è già sfociata in pacifiche proteste ma anche rivolte a Milano, Firenze, Viterbo, Trieste. Oggi Rieti è più tranquilla, al di là di ciò che viene comunicato dai sindacati della Penitenziaria, ma non dimentichiamo che ad inizio Covid fu scenario di una sanguinosa rivolta, conclusasi con 3-4 detenuti morti; episodio su cui la Procura aveva aperto un’inchiesta.

Ben scelti i relatori del convegno, che rappresentavano tutti i punti di osservazione della tematica: una direttrice di istituto, un’avvocata penalista, un Garante detenuti, un Magistrato.

Tra i relatori, l’avvocato Maria Brucale – componente del Direttivo di Nessuno Tocchi Caino – ed il garante dei detenuti della Regione Lazio, Stefano Anastasia.

Entrambi si sono soffermati sull’analisi del recente decreto legge 92/2024 “Carcere Sicuro”. I relatori tutti hanno comunque evidenziato i limiti di questo decreto, che altrove abbiamo letto sintetizzare come “nulla di straordinario, poco di necessario, scarsamente urgente”. Il procuratore dottor Capizzi lo ha analizzato insieme alla riforma Cartabia soffermandosi soprattutto sulle misure alternative e sulle pene sostitutive, sottolineando l’importanza di quest’ultime anche per deflazionare i tribunali di sorveglianza (il nostro è a Viterbo).

Anastasia si è anche soffermato sul ruolo del Garante, che ovviamente non è quello di “garantire” ma che è quello di specifico “difensore civico”, importante per dare voce esterna, e specialmente verso le amministrazioni, delle problematiche generali e delle singole istanze dei detenuti. In questo quadro ha anche auspicato la finalizzazione del processo di nomina di un Garante Comunale a Rieti, per il quale ha confermato l’avvenuta convergenza con l’assessore Palomba.

Al “nostro carcere” ha fatto spesso accenno Marco Arcangeli, come moderatore del convegno, che significativamente ha visto la partecipazione della direttrice dell’istituto di Rieti, Chiara Pellegrini.

Come anche Maria Brucale per quanto riguarda il piano generale, la direttrice ha puntato l’attenzione sulle carenze di organico che aggravano i problemi di sovraffollamento, che tra l’altro a Rieti è ben sopra la media nazionale (504 presenti alla data, per una capienza regolamentare di 289).

Mentre i problemi del carcere come istituzione andrebbero affrontati (ma incisivamente) a livello nazionale, qualcosa parallelamente si può e deve fare in questa città per il carcere come istituto.

Nota dolente presentata dalla direttrice è infatti l’assenza di connessione tra città e istituto, situazione che Sabina Radicale evidenzia da decenni. La direttrice raccontava di aver esemplificato ciò, in un incontro avuto con il Sindaco, nell’assenza anche di indicazioni stradali per raggiungere l’istituto stesso.

Questa lontananza della città dal nostro carcere dalla era purtroppo evidente in platea. Non ci riferiamo tanto all’amministrazione e alla politica, che comunque a breve si occuperà del tema dovendo andare a finalizzare il nuovo regolamento per un Garante Comunale e poi la scelta dello stesso, quanto al tessuto sociale, specie del mondo del lavoro.

Lo diciamo portando ad esempio il fatto che da febbraio un detenuto lavora al McDonald’s di Rieti, grazie ai consistenti sgravi contributivi e fiscali della legge Smuraglia, all’opera della associazione Seconda Chance della giornalista Flavia Filippi e alla lungimiranza ed apertura del titolare Paolo Orabona. La legge Smuraglia esiste da oltre 20 anni ma la sua conoscenza è scarsa, nonostante l’ottimo lavoro di Seconda Chance, che già nell’autunno del 2022 incontrò l’amministrazione e per suo tramite alcuni imprenditori.

Ci sono altre imprese che, magari indirizzate e supportate dalle proprie associazioni, vogliano cogliere l’occasione di seguirne l’esempio?

Una lettera dal carcere di Rieti.

Qualche giorno fa è stata letta su Radio Radicale una lettera da “Claudio, persona detenuta nel carcere di Rieti”.
Sabina Radicale ne offre di seguito la trascrizione. La lettura può essere ascoltata, dalla voce di Riccardo Arena, il conduttore della rubrica settimanale Radio Carcere, su:
https://www.radioradicale.it/scheda/721692/radio-carcere-il-carcere-di-velletri-tra-malati-di-mente-e-detenuti-condannati-allozio?f=0&p=0&s=1960&t=2273

<<Caro Riccardo, anche nel carcere di Rieti, che sulla carta potrebbe funzionare bene, noi detenuti siamo di fatto costretti a vivere in condizioni vergognose; per prima cosa infatti anche qui c’è sovraffollamento, tanto che siamo quattrocentocinquanta detenuti a fronte di duecentonovanta posti effettivi; un sovraffollamento questo che ci costringe a vivere nelle celle in quattro detenuti: una convivenza forzata che diventa più difficile se consideri che qui la maggior parte dello spazio è occupato dai letti e di fatto noi non abbiamo spazio per poterci muovere, figurati se possiamo avere tre metri quadri a testa.

Inoltre non solo siamo costretti a dormire su materassi che sembrano delle sottilette ma sotto le finestre delle nostre celle c’è talmente tanta sporcizia che sembra una enorme discarica a cielo aperto: un ammasso di sporcizia puzzolente che attrae i gabbiani e i piccioni ma anche che attrae topi e cimici che invadono le nostre celle.

Pensa che qui siamo ridotti talmente male che diventa un problema anche mangiare e questo perché il vitto che ci danno è poco ed è cattivissimo.

Ma anche se può sembrare strano, nel carcere di Rieti c’è chi sta peggio di noi e mi riferisco ai ragazzi detenuti stranieri, che vivono in condizioni a dir poco precarie ovvero in assoluta povertà, senza vestiti puliti e senza che ci sia qualcuno che li possa aiutare.

In questo mondo dimenticato che è il carcere di Rieti la cosa che ci pesa di più qui dentro è l’abbandono che dobbiamo subire ogni giorno: qui infatti non ci sono volontari, non c’è la Caritas e non abbiamo neanche la possibilità di ricevere un aiuto psicologico o qualcuno che semplicemente ci ascolti.

Un abbandono questo che riguarda anche chi tra noi è malato e non viene curato in modo giusto ovvero persone detenute che non vengono monitorate, controllate e che spesso non possono neanche prendere le medicine che gli servono perché quelle medicine non ci sono in carcere; infatti anche nel carcere di Rieti se c’è una medicina che non manca mai sono gli psicofarmaci ovvero le gocce come le chiamiamo noi in carcere, psicofarmaci che vengono dati a richiesta e che ti fanno dormire per tutto il giorno. Ma sbaglio o per dare ai detenuti questi psicofarmaci servirebbe una prescrizione medica? Questa prescrizione medica esiste o non esiste ogni volta che un detenuto prende uno psicofarmaco?

Insomma gli unici che sono presenti davanti a noi, gli unici che cercano di aiutarci, sono gli agenti della polizia penitenziaria; agenti che tra l’altro qui a Rieti sono pochi e sono costretti a fare dei turni massacranti.

Un’ultima cosa: anche se in questo carcere ci sono diversi locali dove poter lavorare, di fatto qui la maggior parte dei detenuti non fa nulla per tutto il giorno e anche la famosa falegnameria che tanto pubblicizzano sui giornali locali è chiusa da tempo.

Credimi io di carceri ne ho girate, ma un carcere, una galera ridotta male come quella di Rieti non l’avevo mai vista; ciao e alla prossima.>>

Pur mancando Sabina Radicale da oltre un anno nel visitare l’Istituto (ma a breve concorderemo con la Direzione una visita anche per i numerosi cittadini che hanno aderito alla iniziativa www.devivedere.it) possiamo dire che il quadro sia corrispondente a quanto conoscevamo ed avevamo riportato (fatta eccezione per problemi specifici di igiene o che, come il vitto, possono cambiare nel tempo). Stupisce, conoscendo lo stato di fatiscenza di altri istituti, l’affermazione conclusiva del detenuto ma come lui stesso dice “la cosa che ci pesa di più è l’abbandono”, intendendo la mancanza o insufficienza di lavoro, attività, assistenza.

Liste fantasma nei piccoli Comuni, finalmente ci siamo?

Nel fine settimana dell’8 e 9 Giugno, giorno delle elezioni europee, andranno al voto anche molti comuni. Tra questi, ben 22 in Provincia di Rieti sotto i mille abitanti, quindi esposti al malcostume della presentazione di liste “fantasma” di comodo o propaganda che nulla hanno a che fare con quel comune; a volte, per mancanza di alternativa all’unica lista reale, hanno anche fatto eletti, mai presentatisi, comprimendo ulteriormente i diritti politici dei cittadini.

Sabina Radicale da tempo chiede una soluzione al problema e nel 2019 presentò, tramite il deputato di +Europa Alessandro Fusacchia, un semplice disegno di legge che prevedeva l’obbligo di 2 sottoscrizioni. Un ordine del giorno che impegnava il governo a risolvere il problema, fu inoltre presentato (ancora da Fusacchia) e approvato nel 2021.

Lo scorso maggio abbiamo chiesto di ripresentare quella proposta nella nuova legislatura a tre deputati: due eletti in questo territorio (Trancassini per la destra, Madia per il PD) e Magi come segretario di +Europa; purtroppo l’invito non è stato raccolto.

Tuttavia, proprio in quei giorni, la senatrice Pirovano della Lega presentava una sua proposta (S.379) che ha fatto il suo corso in Senato (approvata all’unanimità) e passata alla Camera non ha ricevuto emendamenti in Commissione Affari Costituzionali; ora è in attesa del parere della Commissione Bilancio, che non avrà sicuramente nulla da eccepire.

C’è quindi la concreta speranza che essa diventi legge e probabilmente già per questo turno amministrativo.

La proposta prevede:

  • non meno di 15 e da non più di 30 firme nei comuni tra 751 e 1.000 abitanti (solo quattro al momento in provincia, ma nessuno in questa tornata elettorale)
  • non meno di 10 e da non più di 20 firme nei comuni con popolazione compresa tra 501 e 750 abitanti (per questa tornata: Accumoli, Configni, Frasso, Longone, Mompeo, Monte San Giovanni, Poggio San Lorenzo, Posta, Roccantica)
  • non meno di 5 e da non più di 10 firme nei comuni con popolazione fino a 500 abitanti (per questa tornata: Castel Di Tora, Collegiove, Colli Sul Velino, Concerviano, Labro, Micigliano, Montasola, Morro Reatino, Orvinio, Paganico, Pozzaglia Sabina, Turania, Vacone).

Morire di sciopero della fame a Rieti, fa notizia in Italia?

Finalmente, dopo tre settimane dalla morte per sciopero della fame di Stefano Bonomi, il 65enne detenuto a Rieti, il giornalista Luigi Mastrodonato – che già aveva cercato di far luce sui decessi a Rieti nella rivolta del 2020 – è riuscito a portare la vicenda ad un livello nazionale, con un dettagliato articolo sul Domani.

Ne emerge un quadro di diverse fragilità che hanno fatto sì che Stefano, nonostante l’attenzione che gli è stata dedicata all’interno dell’Istituto di Rieti, rimanesse schiacciato da una giustizia, carceraria e non, che ha tempi e procedure non misurate sulla persona.

Al di là però del caso umano e giudiziario di Stefano Bonomi, rimane l’aspetto di una schermatura mediatica che circonda i casi di sciopero della fame di detenuti e, in questo caso reatino, perfino dopo il suo esito fatale.

Infatti, a fronte del tragico evento della notte tra il 5 ed il 6 gennaio, già stupiva che l’evento fosse stato reso noto solo il 10 gennaio e solo a Viterbo (non a Rieti dove lo sciopero era avvenuto). Ma poi ancor più che esso ha stentato nel lasciar tracce sulla stampa nazionale: accenni ne abbiamo trovati solo su L’Unità e Corriere.it il 16 Gennaio, su La Stampa il 19 e poi su Avvenire il 21. Anche una dichiarazione del 13 gennaio della consigliera regionale Mattia non è riuscita ad andare oltre la cronaca di Viterbo.

Usiamo la parola “tracce” perché, prima di Luigi Mastrodonato, senza nessun approfondimento o domanda: al massimo “Un 65enne è morto dopo un lungo sciopero della fame nel carcere di Rieti. Era in attesa di giudizio ed è spirato nel reparto di medicina protetta dell’ospedale «Belcolle» di Viterbo dove era stato ricoverato coattivamente”. In un’occasione anche semplicemente enumerato come caso di suicidio. E nessun politico di livello nazionale (con la solita eccezione di Rita Bernardini) o commentatore che abbia ripreso il fatto.

Questo contrasta visibilmente non solo con i casi di suicidio (che vengono comunicati tempestivamente e spesso ricevono attenzione in cronaca nazionale e con approfondimenti) ma anche con la rilevanza nazionale assunta dai casi di infausto sciopero della fame accaduti nel 2023: basta cercare in rete “Augusta sciopero della fame” e “Torino carcere sciopero della fame”. A Torino la notizia si ebbe a livello nazionale nell’immediatezza, ad Augusta (con due decessi) pochi giorni dopo; e a seguito, dichiarazioni del Garante Nazionale, visita del Ministro Nordio.

Per le morti di Augusta, il Garante Nazionale richiamò “la necessità di quella trasparenza comunicativa che, oltre a essere doverosa per la collettività, può anche aiutare a trovare soluzioni in situazioni difficili perché non si giunga a tali inaccettabili esiti”.

Anche associare i casi di sciopero della fame, e particolarmente questo, al degrado strutturale degli istituti (che non c’è a Rieti) o al sovraffollamento (quello c’è ed è notevole, ma in regime di celle aperte) non ci sembra calzante: per quanto abbiamo letto, tutti questi scioperi della fame erano legati a “diritti” invocati dai detenuti; diritti che competevano non alla dura, inumana vita in carcere, ma alla Giustizia “esterna”: la detenuta di Torino chiedeva di vedere il figlio di 3 anni; ad Augusta una richiesta era di essere estradato per scontare la condanna in patria. Di Bonomi La Repubblica il 30, in una breve, ci dice che “protestava perché non aveva avuto accesso ai benefici di legge”.

Il Garante Nazionale, nell’occasione di Augusta, evidenziò anche il differente eco mediatico tra lo sciopero di Alfredo Cospito e quelle vicende, che avevano riguardo detenuti “ignoti”. Quando Enzo Tortora tornò a Portobello, dopo il famoso “dove eravamo rimasti?” disse “io sono qui, e lo sono anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi”; ma sopravvisse appena un anno, a ciò che aveva subito.

E così gli scioperi della fame, lotta non violenta che per legge sarà “rivolta” se la fanno in tre, in Italia si svolgono in silenzio, lontano dai riflettori; e per Stefano Bonomi anche dopo.

Un detenuto a Rieti è morto di sciopero della fame

Dopo la tragedia di Matteo, ancora qualcuno che muore di carcere: il 65enne Stefano Bonomi, detenuto a Rieti dove aveva condotto un lungo sciopero della fame, e che per la sua condizione era stato ricoverato il 3 Gennaio all’ospedale di Viterbo, il 6 mattina non ce l’ha fatta.

Non sappiamo se il ricovero sia stato coatto, come riportano le cronache viterbesi, o se si fosse convinto a farsi aiutare. Non sappiamo neppure i motivi per cui avesse intrapreso questa forma di lotta; le stesse cronache ci dicono che fosse in attesa di giudizio.

Se il suicidio di Matteo, seppur annunciato, è stato considerato “inatteso” anche dal Garante Regionale marchigiano, si potrà dire altrettanto per Stefano?

Di Matteo si sa tutto, di Stefano si saprà qualcosa? Cosa l’ha spinto, prima ancora di essere condannato, ad urlare così la sua richiesta? Era una richiesta legittima? Pare che sostenesse la protesta da molto tempo, anche interrompendola più volte; questo mostrerebbe sia la determinazione, sia la volontà di non portarla all’estrema conseguenza.

Non è la prima volta che questo accade in Italia. Ci furono episodi lo scorso maggio, in Sicilia. Allora, dopo la diffusione della notizia, il Garante nazionale delle persone detenute e private della libertà, Mauro Palma, richiamò “l’attenzione pubblica sulla necessità della completa informazione che deve fluire dagli Istituti penitenziari all’Amministrazione regionale e centrale affinché le situazioni problematiche possano essere affrontate con l’assoluta attenzione che richiedono”.

Se di Stefano Bonomi i Garanti Nazionali o Regionale dei Detenuti non conoscevano il caso (e crediamo di no, se dopo cinque giorni non ne ha data notizia) non credo sapremo mai di più, a meno che la famiglia non vorrà renderlo pubblico. Visto il tempo trascorso, immaginiamo che non ci aiuterà a capire neppure qualche sindacato della Penitenziaria, solerte nel riportare informazioni su violenze da parte di detenuti; eppure con il nuovo “Pacchetto Sicurezza” la “resistenza anche passiva agli ordini impartiti”, come quello di alimentarsi, è da considerare “reato di rivolta”. Sbagliamo a pensare che forse una utilità almeno in questa circostanza avrebbe potuto avere un Garante Comunale dei Detenuti (come spesso ripetiamo: figura a titolo gratuito istituita 10 anni fa e mai attuata)?

80° Deportazione ebrei da Rieti verso Auschwitz

Il 6 Gennaio ricorreranno 80 anni dalla deportazione da Rieti, dal carcere di Santa Scolastica dove erano stati ristretti, di 14 “ebrei stranieri”.

I 14 ebrei, precedentemente erano internati in vari paesi della provincia: la famiglia Gattegno ad Amatrice dove nacque il piccolo Roberto, la famiglia Da Fano a Borgo Velino – e fu il soggiorno più sofferto -; da Leonessa la moglie cattolica di Ugo Löbenstein chiese invano di liberare – secondo legge – il marito deportato, a Rivodutri i coniugi Krohn vissero per oltre due anni.

Per iniziativa delle autorità italiane, furono deportati al campo di Fossoli e di lì a pochi mesi ad Auschwitz dove in 13 (le donne, i bambini, gli anziani) furono direttamente avviati alle camere a gas.

Questa città ha ufficialmente ricordato e onorato queste vittime con un convegno e mostra documentaria nel gennaio 2013 e a seguire in un libro, “La normalità colpevole”, edito nel 2014 dall’Archivio di Stato di Rieti con il patrocinio della Prefettura di Rieti e della Fondazione Museo della Shoah.

Tuttavia da allora essa non ha avuto occasione di ricordare quei fatti e quei nomi.

Per questo come associazione Sabina Radicale abbiamo deciso di tenere Sabato 6 Gennaio alle ore 11 una breve commemorazione davanti all’ingresso del carcere, al n.55 di via Terenzio Varrone, alla quale abbiamo invitato le autorità civili e religiose ed invitiamo la cittadinanza tutta.

Elia Gattegno, 52 anni, nato a Salonicco
Elisa Giuili, 48 anni, nata a Tripoli, sua moglie
Leone Gattegno, 30 anni, nato a Tripoli, suo figlio
Fortuna Attal, 26 anni, nata a Tripoli, sua nuora
Elia Gattegno, 6 anni, nato a Tripoli, suo nipote
Armando Gattegno, 4 anni, nato a Tripoli, suo nipote
Elisa Gattegno, 3 anni, nata a Tripoli, sua nipote
Roberto Gattegno, 7 mesi, nato ad Amatrice, suo nipote

Isabella da Fano, 54 anni, nata a Reggio Emilia
Renée Cohen, 29 anni, nata a Parigi, sua figlia
Daniele Cohen, 3 anni, nato a Roma, suo nipote

Martin Krohn, 60 anni, nato a Schönfeld
Gertrude Alexander, 54 anni, nata a Stargard, sua moglie

Ugo Löbenstein, 65 anni, nato a Brno

Solo Leone Gattegno sopravvisse.

Droga e guida: come chiede il Prefetto, evitiamo i titoli ad effetto

Nelle cronache della presentazione del nuovo Prefetto di Rieti Pinuccia Niglio, rappresentante dello Stato e responsabile della sicurezza, troviamo passaggi particolarmente degni di attenzione: il concetto di sicurezza che è soprattutto (specialmente qui, aggiungiamo noi) quella percepita, per la quale percezione occorre “far capire le priorità e spiegare a pieno le problematiche alla cittadinanza” e la richiesta (che vediamo come conseguente) alla stampa di non fare titoli ad effetto ed essere costruttivi.

Purtroppo, proprio nella stessa giornata, dobbiamo rilevare esattamente questo problema: titoli ad effetto che generano una ingiustificata percezione di insicurezza.

Occorre una premessa: in Italia, e non solo, il consumo di sostanze cosiddette stupefacenti è molto diffuso. Secondo relazione del Governo al Parlamento, a pag, 68, si legge che nel 2022 ben 4 milioni di persone (8,5% della popolazione tra 18 ed 84 anni) hanno utilizzato cannabis e circa 2 milioni (4%) l’hanno consumata nel mese”.

Un fenomeno di queste dimensioni, e come esso è regolamentato, dovrebbe essere perciò conosciuto, certo dai consumatori effettivi o potenziali, ma anche dagli organi di stampa quando ne parlano. Purtroppo non è così. Vediamo cosa è successo.

Nel fine settimana, un’operazione dei Carabinieri di Poggio Mirteto ha portato alla denuncia di due persone per guida in stato di ebbrezza. Una terza persona, finita in ospedale, è risultata anch’essa con tasso alcolemico superiore alla legge e quindi denunciata.
Nelle analisi effettuate al Pronto Soccorso, è risultata la positività a cannabis e oppioidi; da ciò è scaturita non una denuncia ma una segnalazione come assuntore di stupefacenti al Prefetto.

Questo perché la assunzione di cannabis può essere rilevata anche dopo un mese che è avvenuta, mentre gli indicatori di assunzione di oppioidi (eroina, metadone ma anche numerosi farmaci) persistono anche per 3 giorni (il metadone fino a 7); anche la Corte di Cassazione ha specificato che la semplice positività al test delle urine o del sangue non è una prova sufficiente per confermare lo stato di alterazione, ma può essere data da consumi avvenuti precedentemente. Occorre, quindi, un referto del medico che ha preso in cura l’automobilista che confermi la guida sotto effetto di stupefacenti, descrivendo dettagliatamente i sintomi e lo stato di alterazione psico-fisica. 

Quasi tutti i lettori reatini hanno invece purtroppo letto altro, e questo stupisce perché questi accadimenti non sono eccezionali nella nostra provincia, visti i numeri nazionali di assuntori e l’uso generalizzato dell’auto in questa provincia.

Diversi media hanno titolato e scritto infatti di “denuncia per consumo di droga” ed addirittura alcuni di “guida sotto gli effetti della droga” o “guida drogato”.

La grandissima percentuale di incidenti dipende da altri fattori che la non lucidità del guidatore, e quando questo avviene, l’alcool conta 10 volte le sostanze stupefacenti (nel 2020 11mila le multe per ebbrezza, mille per influenza di stupefacenti); nel 9% degli incidenti con lesioni c’è ebbrezza, nel 3% si rileva la trascorsa assunzione di sostanze (il che come si diceva non comporta esserne sotto l’effetto).

Questi sono i numeri, quelle sono le leggi. Allora tutti facciano lo sforzo, richiesto dal Prefetto, per rappresentare correttamente i fatti e – aggiungiamo – per non criminalizzare l’uso di sostanze oltre quanto è già in atto.

Se del carcere “non si sa di che”, occorre un Garante Comunale.

In questi giorni è apparsa sulla stampa locale una notizia che riguarda il carcere, dove dei detenuti, evidentemente come protesta, hanno fatto difficoltà a rientrare in cella; “rientrare” perché ricordiamo che a Rieti per la maggior parte della giornata si è liberi di muoversi all’interno della sezione e che questa cosiddetta “vigilanza dinamica” serve anche a sopperire al difetto dei 3mq a disposizione di ogni detenuto.

Incuriosita dal fatto che diverse testate esordissero con “A distanza di pochi giorni”, e non avendo letto nulla di recente, Sabina Radicale ha cercato altre notizie che ci fossero sfuggite.
Intanto, la sorpresa nel verificare che una testata parlava di “ulteriori momenti di tensione”, mentre altre di “ulteriore atto di devastazione”.

Non trovando nella stampa locale le notizie di qualche giorno prima, siamo andati alla fonte, e cioè al sindacato di polizia penitenziaria da cui arrivava la notizia (come tutte quelle sul carcere reatino).

Sulla sua pagina FB regionale abbiamo in effetti trovato la seguente notizia, del 24 settembre:
“Rieti. Oggi detenuto sale sul tetto per qualche ora per protesta non si sa di che. La mediazione della Polizia Penitenziaria e di alcuni suoi compagni lo ha riportato a rientrare fortunatamente senza conseguenze.”

A parte la confusione del lettore che oggi leggeva riferimenti a qualcosa che non gli era stato precedentemente riportato (e per di più non capendo se ci fosse stata tensione o devastazione) ci vogliamo concentrare su questo precedente fatto.

Un episodio in cui ancora si è manifestata una protesta. Ora, non spetta certo ad un sindacato di polizia penitenziaria di informare sui motivi della protesta di detenuti; tuttavia non può non colpire il “non si sa di che”, espressione che rende ancora più urgente che l’occhio sul carcere e la voce dal carcere non sia solo sindacale, che legittimamente non ha interesse a capire “di che” (anche se siamo sicuri non sia così per i singoli agenti).

Un’altra occasione insomma in cui si rende manifesta la necessità che l’Amministrazione Comunale dia corso al bando per la individuazione di un Garante dei Diritti delle Persone Private della Libertà Personale (definizione che ricordiamo include anche gli internati nella REMS di Rieti, a gestione ASL ma per cui lo stesso sindacato penitenziario lamentava/denunciava la gestione nei fine settimana).

La novità di uno spoils system regionale silenzioso

Nota di Fabio Andreola – tesoriere di Sabina Radicale

“Il Presidente Rocca ha nominato Matteo Monaco Commissario Straordinario Riserva Monti Navegna e Cervia. In data 15 giugno 2023 il Presidente ha chiesto formalmente a tutti i soggetti politici di riferimento della sua giunta ed alle loro espressioni partitiche ed istituzionali nel territorio della provincia di Rieti, una lista di candidati che avessero queste caratteristiche di base: buon livello culturale, idealmente con studi attinenti all’ambiente, il turismo e la conservazione del paesaggio. La Regione ha ricevuto 20 candidature che sono state attentamente valutate da una commissione ad hoc presieduta dallo stesso Presidente Rocca. Nonostante la maggioranza dei candidati proposti fosse in possesso dei requisiti, Matteo Monaco è risultato essere il candidato più adatto. Matteo può vantare infatti anche una esperienza amministrativa ed una profonda conoscenza della montagna, seppure maturata in un contesto naturalistico diverso. Il Presidente Rocca si congratula con Matteo, fiducioso che possa nel corso del suo mandato eguagliare o superare i risultati raggiunti dal suo predecessore Giuseppe Ricci, a cui vanno i ringraziamenti del Presidente della Regione Lazio e della sua giunta per il lavoro svolto.”

Questo comunicato è falso, lo abbiamo scritto noi di Sabina Radicale, ma è quello che ci sarebbe piaciuto leggere sui giornali.

Invece non abbiamo letto alcun comunicato dalla Regione ma solo un comunicato autoreferenziale dello stesso Matteo Monaco, che ringrazia chi lo ha nominato.

Per inciso, pare la “non comunicazione” sia cifra stilistica della nuova amministrazione: neppure del non trascurabile incarico che la stampa romana attribuisce a Mariano Calisse si è letto qualcosa in provincia.

Ormai, ad ogni cambio di colore politico, si procede a sostituire una quantità enorme di persone per ricoprire posizioni della pubblica amministrazione, remunerate con soldi pubblici perché servano la comunità intera.

Lo spoils system, che di per sé ha una logica politica, condivisibile o meno, dovrebbe quantomeno garantire un minimo di trasparenza sul processo e rassicurare i cittadini che il cambio (di presidenti, dirigenti a nomina diretta, commissari, etc.) sia neutrale o migliorativo in relazione alle competenze.

Non solo questo non avviene, ma tanto è ormai “pacifico” che lo scopo della nomina non sia quel “servire la comunità”, che la nomina nemmeno viene comunicata.

Sabina Radicale invita i cittadini a non assuefarsi, le forze politiche in consiglio regionale a pretendere trasparenza, e infine gli organi di stampa a chiedere conto ai nuovi nominati dei nuovi diversi indirizzi che essi perseguiranno.