Sabina Radicale sulla vertenza Ritel

Riguardo al caso Ritel, Sabina Radicale, accanto alla solidarietà con i lavoratori ed alla preoccupazione e la denuncia per il depauperamento del tessuto produttivo della provincia, intende ripercorrere la storia di questa vertenza per ricordarne e fare luce su alcuni aspetti.

Riguardo al caso Ritel, Sabina Radicale, accanto alla solidarietà con i lavoratori ed alla preoccupazione e la denuncia per il depauperamento del tessuto produttivo della provincia, intende ripercorrere la storia di questa vertenza per ricordarne e fare luce su alcuni aspetti.

La vertenza si originò per la decisione strategica (cioè applicata in tutto il mondo) da parte di Alcatel di delocalizzare le fabbriche verso paesi a più basso costo di manodopera (ma anche maggiori prospettive di investimento per il mercato delle telecomunicazioni).

Non molto dopo quest'annuncio, l'allora onorevole Rositani, annunciò che era pronta una cordata di imprenditori reatini che avrebbe rilevato l'azienda.
Richiesto di chiarire, l'onorevole precisò solo che ciò che aveva reso pubblico era ciò che TUTTI sapevano. Chi erano quei TUTTI? Ancora adesso il TUTTI fa pensare che non fosse una sola parte politica a conoscenza della cosa; e costoro erano "a conoscenza" o erano gli "sponsor" dell'operazione?

Noi propendiamo per questa seconda ipotesi, giacché è fuor di logica che se fosse stata Alcatel a costruire la cordata, ne avrebbe informato TUTTI i politici; e se anche fosse, sarebbe stato per chiederne il permesso (accordato).

Rieti è un paese, le voci corrono, e si vociferò di un ruolo importante che l'imprenditore Pacione avrebbe svolto in questa cordata. L'imprenditore è noto sia ad Alcatel, che lo ha avuto come sub-fornitore, sia ai lavoratori, presso cui non gode di buona fama.

Questa preoccupazione monta, tanto che nell'aprile del 2006 anche il Vescovo di Rieti si sente in dovere di chiedere ai fratelli reatini un passo indietro in questa vicenda; pressione tanto autorevole che Pacione stesso (non nominato direttamente) immediatamente smentisce un suo coinvolgimento in questa cordata.

Nel frattempo, rassicurata sul pericolo della inconsistente cordata reatina, la città si mobilita per la permanenza di Alcatel, ed investe di questo il governo, proprio in quei giorni in trattativa diretta con Alcatel ed il governo francese su altri più sostanziosi e strategici scenari.

E' Gianni Letta che tratta con la multinazionale; molte rassicurazioni (siamo in buone mani), veicolate dai politici reatini amici del sottosegretario, ma nessun risultato: si ricorda un annuncio di una convocazione a Roma del presidente Alcatel Tchuruk (mai avvenuta), e una manifestazione dei lavoratori e dei sindaci della provincia (inclusi Emili e Melilli) organizzata sotto Palazzo Chigi, certo di concerto con il sottosegretario che non si fa però trovare in quanto impegnato in un concistoro in Vaticano; ricordiamo che il concistoro è una riunione formale del collegio cardinalizio in cui vengono magari creati nuovi cardinali, e quindi nulla che avesse a che fare – almeno speriamo – con i suoi doveri istituzionali.

Questo stesso Gianni Letta è il potente (quando vuole) personaggio che l'amministrazione del comune di Rieti, con la compiacenza dell'opposizione, sta per proporre come cittadino onorario, benefattore della città.

Cambia nel frattempo il governo, e nel 2006 viene investito della questione il governo Prodi, e più precisamente il ministro Bersani. Apparentemente abbandonato  il tentativo di far recedere Alcatel dalla vendita, viene alla luce la cordata di imprenditori, che risulta evidente a tutti essere una Armata Brancaleone di avventurieri e faccendieri, senza alcuna esperienza e, come si rileva e conferma nelle trattative in sede ministeriale che assumono in alcuni casi aspetti da avanspettacolo, senza alcun piano industriale (quest'ultima analisi condivisa dal governo).

Pur tuttavia, contro ogni buonsenso, nonostante le rimostranze dei lavoratori, dopo un po' ci si concentra sul "come", ed avviene il miracolo della accettazione da parte dei sindacati di un "Protocollo" (che tra l'altro, in cambio di una fumosa ed improbabile relazione tra fabbrica e laboratorio, offre a Ritel anche una partecipazione e la direzione strategica del laboratorio, il quale non era oggetto di cessione da parte di Alcatel).

Questo Protocollo non chiarisce nessuno dei dubbi sul tavolo ma, a detta dei sindacati, ha il merito di costituire un precedente ed un modello di relazioni industriali; cosa quest'ultima che evidentemente ai sindacati interessa più della sostanza, tanto che le residue resistenze di quella parte dei sindacati locali che cerca ancora un po' di autonomia, vengono stroncate dalle direttive sindacali che arrivano da Roma.

L'opera finale si chiude con la forte pressione di sottoscrivere l'accordo, fatta dai sindacati ai lavoratori, da un lato scoraggiati da un "ormai è così" e dall'altro allettati da una buonuscita di 7  mensilità.

Negli anni successivi, né i politici, né i sindacati vigilano e denunciano il Protocollo, mentre Ritel sopravvive con le sole commesse Alcatel, le quali grazie alla favorevole congiuntura ed a difficoltà nelle fabbriche in Cina, arrivano più copiosi di quanto dovuto.

Nel frattempo, nel silenzio di politici, sindacati, città e lavoratori, emergono le figure dei veri proprietari di Ritel, i signori Longhi e Pacione, quest'ultimo immemore della rassicurazione fornita al vescovo.

Da un anno, di fronte alla inconsistenza di Ritel che è ormai al fallimento, governo, politici  e sindacati chiedono un subentro di altri soci.

Tuttavia gli attuali proprietari (dopo aver avuto in regalo l'intero immobile, i macchinari, la gestione dei TFR ed aver lucrato in questi anni sulle commesse garantite, senza nulla aggiungere di proprio) cercano di massimizzare gli utili e resistono, forti del codice civile che come proprietari li protegge.

E questo si ripete in stancanti e sterili incontri ormai più che mensili, in cui niente cambia, mentre gli avvocati di Ritel ed Alcatel (che per il Protocollo ne è socia di minoranza) ormai si fronteggiano. Sembrerebbe dunque che si sia rotto il patto che aveva legato Alcatel, questi capitani coraggiosi reatini, e soprattutto i loro sponsor politici locali.

Sponsor a cui i lavoratori ed i sindacati ancora si rivolgono per chiedere la soluzione del problema, la quale consisterebbe, questo è condiviso da tutte le parti, nel ricambio al vertice societario.

Un ricambio che prevederebbe nuovi soci di cui tutti vociferano ma di cui nessuno sa, e che non si ha motivo di pensare che non condividano la logica precedente: scelti e garantiti dai politici locali.

Ma se di certo si è rotto l'accordo tra una Alcatel che dà forti segni di insofferenza nei confronti della proprietà (confermando l'ipotesi che la scelta non sia venuta da Alcatel), è così anche per i politici locali?

Se si considerano i fatti, e non le rassicuranti parole non diverse da quelle di tre anni fa, non si è rassicurati. Non è forse un segno del perdurante legame tra proprietà attuale, politici e proprietà futura che il più stimato sindacalista Ritel, con oltre 20 anni di onorato apprezzato e riconosciuto lavoro sindacale, venga contemporaneamente ad assumere importanti incarichi direttivi in Ritel (proprio alla vigilia di un cambio di proprietà!) e contemporaneamente sia nominato dalla politica nel consiglio di amministrazione della ASM?

In questi quadro, rimane vuoto il ruolo del Sindacato, che dopo avere puntato tutto sul fallito nuovo modello (consociativo) di relazioni industriali, si trova con armi spuntate, davanti ai politici che ripetono gli stessi slogan e con poca autorevolezza nei confronti dei lavoratori.

Ai lavoratori non resta che lottare, ma dovrebbero a nostro avviso meglio razionalizzare se i politici locali e nazionali cui tuttora si appellano siano parte della soluzione o del problema; ed, insieme alla reale società realmente laica (nel senso di distaccata dalle chiese politiche), dovrebbe reagire e farlo direttamente; tre anni fa aveva avuto un senso ed apparentemente un effetto l'intervento diretto del Vescovo, unica autorità morale in questa città, ma purtroppo l'iniziativa non ebbe seguito. Ora, a nostro avviso città e lavoratori dovrebbero far sentire ai soggetti coinvolti quella che è la loro rivolta; una rivolta come quella citata dal Congresso dei radicali in corso in questi giorni: gandhiana (non violenta), ma sociale, politica, morale.

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