L'inaugurazione della casa di accoglienza per malati oncologici e familiari, voluta dall'Alcli e finanziata dalla generosità dei cittadini, giustamente messa in risalto dalla stampa locale, ci dà l'occasione per porre di nuovo l'attenzione sulla parallela ma divergente (ed ignorata) vicenda dell'hospice.
L'inaugurazione della casa di accoglienza per malati oncologici e familiari, voluta dall'Alcli e finanziata dalla generosità dei cittadini, giustamente messa in risalto dalla stampa locale, ci dà l'occasione per porre di nuovo l'attenzione sulla parallela ma divergente (ed ignorata) vicenda dell'hospice.
Le due strutture sono diverse: quella il cui inizio di costruzione è stata festeggiata dall'Alcli, aiuterà nel soggiorno in città durante le cure i malati ed i loro familiari, quando provengano da lontano, ed è una struttura residenziale. L'hospice è invece una struttura sanitaria, devota alle cure palliative, cioè di contenimento del dolore, ed all'assistenza in un ambiente il più possibile umanizzante per quell'esperienza comune che è la morte.
Secondo il sito della Federazione Cure Palliative Onlus, nel Lazio esistono 229 posti letto in Hospice, di cui appena 22 in strutture pubbliche: 4 a Rieti, 10 al Regina Margherita, 8 allo Spallanzani. I 4 posti di Rieti sono alloggiati all'interno dell'Ospedale; circa un mese fa, la stampa riportava la esperienza di "un marito di una cinquantacinquenne malata" che evidenziava "la pochezza di risorse investite nell’attuale reparto del De Lellis che conta una manciata di posti letto e un numero esiguo di personale; tale situazione si riversa a cascata sui malati che non possono godere appieno dell’umanità e delle cure altamente professionali dei medici ed infermieri che vi operano."
La costruzione dell'hospice di Rieti, 10 posti letto in una palazzina dell'ex Ospedale Psichiatrico, mirabilmente ristrutturata ed attrezzata con un finanziamento dalla Regione di 3 milioni di euro, risponde a questa esigenza che è locale ma come si vede dai numeri della regione, non solo.
Eppure la sua attivazione non è prevista; non che non serva: il piano presentato dalla Polverini recita: "per quanto riguarda l’hospice, pur non esistendo formalmente nella ASL alcuna struttura specificatamente dedicata a tale ambito assistenziale, presso l’ospedale San Camillo De Lellis è in funzione un servizio di cure palliative residenziali dotato di 4 p.l. che è da regolarizzare e potenziare nel numero di p.l. residenziali integrandolo con l’attività domiciliare per rispondere al fabbisogno del territorio"; dunque si conferma che 4 posti letto sono pochi e che, se capiamo bene, il servizio attuale non è in "regola"; tuttavia, nessuna menzione per i regolari 10 posti del nuovo hospice, benedetto dal Vescovo appena lo scorso marzo.
Sarà questione di fondi? Eppure se il sistema sanitario regionale contempla una così grande proporzione (oltre il 90%) di strutture private, significa che quest'attività è ben remunerata, e che incrementare la offerta pubblica potrebbe quindi portare a un risparmio (se non anche, per una struttura di così alta qualità come quella di Rieti, ad incassi da altre regioni).
Altra assurdità è che contemporaneamente all'abbandono del gioiello reatino e al conseguente spreco dei suoi 3 milioni, viene previsto di attivarne uno ex novo a Monterotondo (10 posti letto) mentre uno privato è in costruzione a Guidonia (10 posti letto); questo grazie al capolavoro della definizione delle Macro-aree Roma-centriche, che fa sì che Monterotondo e la Sabina appartengano a mondi separati, e che l'hospice di Monterotondo e Guidonia vengano pensati a servizio dei romani della loro Macro-area.
Marco Giordani
segretario Sabina Radicale