E' vivo sugli organi di stampa il dibattito su chi debba essere l'assessore reatino nella giunta di Renata Polverini. Diciamo "chi debba", perché già non ci torna che tutti si premurino di ricordarle l'impegno: sembra quasi che i suoi grandi elettori temano che la Polverini possa comportarsi come Marrazzo; noi abbiamo fiducia, e non crediamo sarà così.
E' vivo sugli organi di stampa il dibattito su chi debba essere l'assessore reatino nella giunta di Renata Polverini. Diciamo "chi debba", perché già non ci torna che tutti si premurino di ricordarle l'impegno: sembra quasi che i suoi grandi elettori temano che la Polverini possa comportarsi come Marrazzo; noi abbiamo fiducia, e non crediamo sarà così.
All'interno di questo vivo dibattito è poi strabiliante leggere come ci siano anche personaggi della sedicente sinistra che si spendono apertamente sponsorizzando un personaggio o l'altro; questo risulta incomprensibile ad alcuni, ma dice molto su una classe politica locale che, laddove non sia già trasversalmente compromessa, appare incapace di ripensarsi e rimettersi in gioco, e quindi preferisce partecipare o sentirsi parte del potere, quale che sia.
Ma c'è ancora un'altra stranezza che vogliamo evidenziare, ed è quella di considerare (lo fanno da ultimi i sindacati confederali) come rappresentanti della provincia reatina anche dei personaggi eletti altrove.
Se in nessun territorio è mai apprezzato un candidato catapultatovi dall'esterno, è perché gli elettori vogliono un rapporto personale con l'eletto, il quale sia scelto e chiamato a rispondere in prima persona della sua attività come rappresentante del territorio.
Va detto, per onestà, che non necessariamente un candidato "non residente" dovrebbe disinteressarsi del territorio dove è eletto; ma questo sta alla serietà sua e del partito che lo ha designato, e gli elettori fanno in genere bene a diffidare.
Questo legame diretto tra elettori ed eletto, e tra eletto e territorio, è peraltro il senso del collegio uninominale (sul modello anglosassone) che i radicali, da sempre e da soli, indicano come il solo sistema elettorale in grado di togliere potere alle partitocrazie e restituirlo ai cittadini, ed il cui primo passo è quello dell'anagrafe pubblica degli eletti e nominati.
Come giudicare allora questo fenomeno "inverso", degli "oriundi" che vanno a chiedere e prendere voti a Roma, per poi cercare di farli fruttare in madrepatria? Se è comprensibile il gioco da parte loro, è squalificante da parte dei loro tifosi: il rapporto che ne traspare non è infatti quello di elettore-eletto, controllore-controllato ma piuttosto un elemosinare la disponibilità di un potente o aspirante tale, che si offra come protettore e cavaliere; atteggiamento non nuovo anche tra le file sindacali, dove si era mostrato qualche mese fa a proposito della proposta di cittadinanza onoraria a Gianni Letta.
Per riprendere una immagine spesso richiamata da Emma Bonino in campagna elettorale, è lo scivolamento (nemmeno tanto lento) verso un ruolo di sudditi, piuttosto che di cittadini.