E’ critica anche l’informazione sugli episodi critici nel carcere di Rieti

L’ennesimo episodio di violenza nel carcere di Rieti, riportato dal sindacato SAPPE, fa notizia fino ad un certo punto: non stupisce che episodi del genere accadano anche nell’istituto di Rieti, un tempo “isola tranquilla”, avendo anch’esso sperimentato rivolte con morti, sciopero della fame finito con morte, proteste pacifiche, suicidio.

Quello che però è nuovo è “nella” notizia: da tempo segnaliamo come un problema il fatto che quanto accade nel nostro istituto sia monopolio di comunicati sindacali, che per ragione sociale sono “di parte”.  In questa comprensibile ottica, i sindacalisti pongono l’accento su quanto purtroppo accade e debbono subire gli agenti, cui è dovuta tutta la solidarietà e che a Rieti si dice si siano comportati sempre con correttezza e umanità.

Così però si capisce sempre poco, e nessuno dei lettori è portato a chiedersi, quale sia stato il fatto/la richiesta scatenante dell’episodio; quando il comunicato è generoso, vengono riferiti con espressioni come “motivi futili” o “senza giustificazione”.

Questa volta però, si verifica un fatto inedito: lo stesso sindacato riporta due diverse versioni dell’antefatto dell’aggressione.
Il segretario del SAPPE Lazio scrive alla stampa locale che “L’uomo, ristretto di nazionalità italiana, nella tarda serata ha preteso, con varie scusanti, di essere visitato dal medico di guardia, il quale, coadiuvato dal Sovrintendente ed altro personale di Polizia Penitenziaria, si è recato presso la cella. Entrati all’interno, il medico constatava una simulazione di malessere da parte del detenuto, il quale, a sua volta pretendeva che gli fossero consegnati dei farmaci

mentre Osapoggi.it, sito web nazionale dello stesso sindacato riporta che:

“L’episodio ha avuto inizio quando il recluso, senza alcun motivo apparente, ha preteso di essere trasferito in isolamento. Al rifiuto del Sovrintendente, l’uomo ha inscenato un tentativo di suicidio, seguito da una simulazione di crisi epilettica. Il Medico di turno del carcere, intervenuto tempestivamente, ha smascherato la simulazione”

Non abbiamo elementi sufficienti per capire, anche se una richiesta di andare in isolamento ed una richiesta di farmaci fanno pensare ad una difficoltà psichica che non stupisce. Quello che vogliamo sottolineare è però l’evidenza conclamata, da questa singolare doppia descrizione, della incompletezza o approssimazione della comunicazione sindacale e l’invito ai media di tenerne conto.

L’auspicio è che la futura nomina di un Garante Comunale possa anche aiutare nella comunicazione e nella conoscenza di quanto avviene all’interno dell’Istituto. Nel frattempo, in attesa dell’esame ed approvazione del nuovo regolamento, del bando e della nomina, l’associazione ha avuto dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria l’autorizzazione alla visita inizio settembre, nella quale accompagneremo l’assessore Giovanna Palomba ed i consiglieri Rosella Volpicelli, Giovanni Grillo e Carlo Ubertini.

L’informazione e la conoscenza sono ancor più necessarie a livello nazionale per affrontare la situazione carceraria che è ormai esplosiva. Questa conoscenza si sta diffondendo ormai a livello politico, ma è ancora insufficiente nell’opinione pubblica, di cui la politica è più follower che leader. Per questo come associazione abbiamo aderito alla richiesta, partita dal gruppo Europa Radicale, che la RAI parli di carcere in prima serata, con tutte le professionalità che vivono gli istituti di pena, avvocati e personalità che se ne occupano da anni. L’appello è consultabile e sottoscrivibile su https://europaradicale.eu/appello-alla-rai-per-speciale-carceri-in-prima-serata/

Carcere: “Non c’è più tempo” ma la risposta di governo e città è lenta.

Denso di contenuti il convegno “Non c’è più tempo”, tenuto martedì 9 dalla Camera Penale di Rieti.

Il tema era quello della situazione drammatica del sistema carcerario, che vede quest’anno superare ogni statistica di affollamento e di suicidi, sia dei detenuti che del personale (spia quest’ultima, più di ogni altra, del malessere dell’istituzione).

Il “Non c’è più tempo” si rispecchia peraltro nella crescente sofferenza che, acuita dal caldo estivo, è già sfociata in pacifiche proteste ma anche rivolte a Milano, Firenze, Viterbo, Trieste. Oggi Rieti è più tranquilla, al di là di ciò che viene comunicato dai sindacati della Penitenziaria, ma non dimentichiamo che ad inizio Covid fu scenario di una sanguinosa rivolta, conclusasi con 3-4 detenuti morti; episodio su cui la Procura aveva aperto un’inchiesta.

Ben scelti i relatori del convegno, che rappresentavano tutti i punti di osservazione della tematica: una direttrice di istituto, un’avvocata penalista, un Garante detenuti, un Magistrato.

Tra i relatori, l’avvocato Maria Brucale – componente del Direttivo di Nessuno Tocchi Caino – ed il garante dei detenuti della Regione Lazio, Stefano Anastasia.

Entrambi si sono soffermati sull’analisi del recente decreto legge 92/2024 “Carcere Sicuro”. I relatori tutti hanno comunque evidenziato i limiti di questo decreto, che altrove abbiamo letto sintetizzare come “nulla di straordinario, poco di necessario, scarsamente urgente”. Il procuratore dottor Capizzi lo ha analizzato insieme alla riforma Cartabia soffermandosi soprattutto sulle misure alternative e sulle pene sostitutive, sottolineando l’importanza di quest’ultime anche per deflazionare i tribunali di sorveglianza (il nostro è a Viterbo).

Anastasia si è anche soffermato sul ruolo del Garante, che ovviamente non è quello di “garantire” ma che è quello di specifico “difensore civico”, importante per dare voce esterna, e specialmente verso le amministrazioni, delle problematiche generali e delle singole istanze dei detenuti. In questo quadro ha anche auspicato la finalizzazione del processo di nomina di un Garante Comunale a Rieti, per il quale ha confermato l’avvenuta convergenza con l’assessore Palomba.

Al “nostro carcere” ha fatto spesso accenno Marco Arcangeli, come moderatore del convegno, che significativamente ha visto la partecipazione della direttrice dell’istituto di Rieti, Chiara Pellegrini.

Come anche Maria Brucale per quanto riguarda il piano generale, la direttrice ha puntato l’attenzione sulle carenze di organico che aggravano i problemi di sovraffollamento, che tra l’altro a Rieti è ben sopra la media nazionale (504 presenti alla data, per una capienza regolamentare di 289).

Mentre i problemi del carcere come istituzione andrebbero affrontati (ma incisivamente) a livello nazionale, qualcosa parallelamente si può e deve fare in questa città per il carcere come istituto.

Nota dolente presentata dalla direttrice è infatti l’assenza di connessione tra città e istituto, situazione che Sabina Radicale evidenzia da decenni. La direttrice raccontava di aver esemplificato ciò, in un incontro avuto con il Sindaco, nell’assenza anche di indicazioni stradali per raggiungere l’istituto stesso.

Questa lontananza della città dal nostro carcere dalla era purtroppo evidente in platea. Non ci riferiamo tanto all’amministrazione e alla politica, che comunque a breve si occuperà del tema dovendo andare a finalizzare il nuovo regolamento per un Garante Comunale e poi la scelta dello stesso, quanto al tessuto sociale, specie del mondo del lavoro.

Lo diciamo portando ad esempio il fatto che da febbraio un detenuto lavora al McDonald’s di Rieti, grazie ai consistenti sgravi contributivi e fiscali della legge Smuraglia, all’opera della associazione Seconda Chance della giornalista Flavia Filippi e alla lungimiranza ed apertura del titolare Paolo Orabona. La legge Smuraglia esiste da oltre 20 anni ma la sua conoscenza è scarsa, nonostante l’ottimo lavoro di Seconda Chance, che già nell’autunno del 2022 incontrò l’amministrazione e per suo tramite alcuni imprenditori.

Ci sono altre imprese che, magari indirizzate e supportate dalle proprie associazioni, vogliano cogliere l’occasione di seguirne l’esempio?

Morire di sciopero della fame a Rieti, fa notizia in Italia?

Finalmente, dopo tre settimane dalla morte per sciopero della fame di Stefano Bonomi, il 65enne detenuto a Rieti, il giornalista Luigi Mastrodonato – che già aveva cercato di far luce sui decessi a Rieti nella rivolta del 2020 – è riuscito a portare la vicenda ad un livello nazionale, con un dettagliato articolo sul Domani.

Ne emerge un quadro di diverse fragilità che hanno fatto sì che Stefano, nonostante l’attenzione che gli è stata dedicata all’interno dell’Istituto di Rieti, rimanesse schiacciato da una giustizia, carceraria e non, che ha tempi e procedure non misurate sulla persona.

Al di là però del caso umano e giudiziario di Stefano Bonomi, rimane l’aspetto di una schermatura mediatica che circonda i casi di sciopero della fame di detenuti e, in questo caso reatino, perfino dopo il suo esito fatale.

Infatti, a fronte del tragico evento della notte tra il 5 ed il 6 gennaio, già stupiva che l’evento fosse stato reso noto solo il 10 gennaio e solo a Viterbo (non a Rieti dove lo sciopero era avvenuto). Ma poi ancor più che esso ha stentato nel lasciar tracce sulla stampa nazionale: accenni ne abbiamo trovati solo su L’Unità e Corriere.it il 16 Gennaio, su La Stampa il 19 e poi su Avvenire il 21. Anche una dichiarazione del 13 gennaio della consigliera regionale Mattia non è riuscita ad andare oltre la cronaca di Viterbo.

Usiamo la parola “tracce” perché, prima di Luigi Mastrodonato, senza nessun approfondimento o domanda: al massimo “Un 65enne è morto dopo un lungo sciopero della fame nel carcere di Rieti. Era in attesa di giudizio ed è spirato nel reparto di medicina protetta dell’ospedale «Belcolle» di Viterbo dove era stato ricoverato coattivamente”. In un’occasione anche semplicemente enumerato come caso di suicidio. E nessun politico di livello nazionale (con la solita eccezione di Rita Bernardini) o commentatore che abbia ripreso il fatto.

Questo contrasta visibilmente non solo con i casi di suicidio (che vengono comunicati tempestivamente e spesso ricevono attenzione in cronaca nazionale e con approfondimenti) ma anche con la rilevanza nazionale assunta dai casi di infausto sciopero della fame accaduti nel 2023: basta cercare in rete “Augusta sciopero della fame” e “Torino carcere sciopero della fame”. A Torino la notizia si ebbe a livello nazionale nell’immediatezza, ad Augusta (con due decessi) pochi giorni dopo; e a seguito, dichiarazioni del Garante Nazionale, visita del Ministro Nordio.

Per le morti di Augusta, il Garante Nazionale richiamò “la necessità di quella trasparenza comunicativa che, oltre a essere doverosa per la collettività, può anche aiutare a trovare soluzioni in situazioni difficili perché non si giunga a tali inaccettabili esiti”.

Anche associare i casi di sciopero della fame, e particolarmente questo, al degrado strutturale degli istituti (che non c’è a Rieti) o al sovraffollamento (quello c’è ed è notevole, ma in regime di celle aperte) non ci sembra calzante: per quanto abbiamo letto, tutti questi scioperi della fame erano legati a “diritti” invocati dai detenuti; diritti che competevano non alla dura, inumana vita in carcere, ma alla Giustizia “esterna”: la detenuta di Torino chiedeva di vedere il figlio di 3 anni; ad Augusta una richiesta era di essere estradato per scontare la condanna in patria. Di Bonomi La Repubblica il 30, in una breve, ci dice che “protestava perché non aveva avuto accesso ai benefici di legge”.

Il Garante Nazionale, nell’occasione di Augusta, evidenziò anche il differente eco mediatico tra lo sciopero di Alfredo Cospito e quelle vicende, che avevano riguardo detenuti “ignoti”. Quando Enzo Tortora tornò a Portobello, dopo il famoso “dove eravamo rimasti?” disse “io sono qui, e lo sono anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi”; ma sopravvisse appena un anno, a ciò che aveva subito.

E così gli scioperi della fame, lotta non violenta che per legge sarà “rivolta” se la fanno in tre, in Italia si svolgono in silenzio, lontano dai riflettori; e per Stefano Bonomi anche dopo.

Il Carcere di Rieti merita una diversa conoscenza

Informazione monopolizzata da un sindacato – La necessità di nominare il Garante Comunale

La morte per sciopero della fame e della sete della madre detenuta a Torino, senza che nessuno all’esterno sapesse di lei, ci tocca tutti come cittadini dello Stato che la aveva in custodia, ma richiede una riflessione anche a Rieti su cosa e come esce dagli istituti alla conoscenza della società libera.

Riflettiamo su questo perché nelle ultime settimane sono stati resi noti da uno dei sindacati di Polizia Penitenziaria (il SAPPE) episodi di aggressione a Rieti ai danni di agenti.

Come Sabina Radicale esprimiamo naturalmente la nostra solidarietà e vicinanza alla polizia penitenziaria di Rieti, per le condizioni di lavoro cui sono sottoposti lavoratori e lavoratrici, cronicamente sotto organico, e anche, nei casi in questione, per i rischi che derivano loro da una cattiva gestione in questo Paese della salute mentale, che spesso trova nel carcere la sua “soluzione”.

Diciamo questo perché i primi due fatti si riferiscono l’uno ad un episodio occorso in Ospedale da parte di un internato in REMS – cioè persona giudicata NON colpevole a causa della sua malattia mentale – e l’altro ad un episodio occorso in carcere durante l’accompagnamento in infermeria di un detenuto proveniente dal Reparto di Diagnosi e Cura di Reggio Emilia, dove peraltro esiste nel locale Penitenziario una sezione “Articolazione per la Tutela della Salute Mentale”, sezione assente a Rieti. E anche il terzo episodio viene riferito come legato ad una richiesta di psicofarmaci, il cui uso riguarda ufficialmente (vedi rapporto di Antigone dell’aprile scorso) quasi la metà dei detenuti.

Il problema che poniamo è però che, pur nella gravità degli episodi, l’immagine trasmessa dal sindacato SAPPE finisce per dare una visione parziale della vita all’interno dell’istituto e del rapporto tra detenuti e detenenti e quindi diversa da quella, di grande collaborazione e di rapporti sereni, che abbiamo sempre riscontrato nelle nostre visite. A questo scopo ricordiamo l’iniziativa www.devivedere.it di Radicali Italiani che si offre di portare cittadini in visita negli istituti.

Un sindacato non ha certo come mandato sociale il dare notizie, ma piuttosto rivendicare qualcosa per i suoi iscritti. E infatti quello che avviene è che si prenda spunto da queste comunicazioni per dar forza a proprie storiche richieste, come l’abbandono della vigilanza dinamica (cioè il fatto che i detenuti possano liberamente spostarsi all’interno della sezione e non rimangono chiusi in cella) e addirittura l’uso del Taser, che è concesso finora a Forze dell’Ordine “esterne”. Il Taser viene addirittura reclamato parlando di un pugno ricevuto da un agente, quando questa “pistola elettrica” ha una distanza minima operativa di 1,5 metri ed ottimale da 2 a 5 metri (secondo il Vademecum della Polizia di Stato, il quale raccomanda “la stessa attenzione con cui si tratta un’arma da fuoco”).

Il problema è però non tanto quello che questo sindacato propugna ma il suo monopolio dell’immagine che all’esterno si ha dell’Istituto di Vazia. Ad esempio nel 2022 ci sono state 7 aggressioni ai danni di agenti, ma anche 5 tentativi di suicidio (e 42 atti di autolesionismo) di cui nulla si è saputo fuori.

E’ importante quindi che del carcere si abbia una informazione più obiettiva; se ne escono solo episodi critici, e descritti con quel fine, la città di Rieti continuerà a guardare a quel mondo attraverso quella particolare lente. Non per niente, quando anni fa proponemmo a consiglieri comunali una visita, ci fu chi, avendo letto un comunicato sindacale di allora, rispose che preferiva aspettare che la situazione si calmasse.

Anche per questo, torniamo a chiedere all’Amministrazione Comunale (ma anche al Consiglio Comunale tutto) di concretizzare finalmente la nomina di un Garante dei Diritti delle Persone Private della Libertà, figura a titolo gratuito istituita ormai 10 anni fa e mai nominata; figura che possa anche riequilibrare l’informazione ed agevolare un rapporto, finora assente, tra l’istituto e la città

A Rieti un detenuto su tre positivo al covid

Secondo i dati della Direzione regionale salute e integrazione sociosanitaria – Area rete integrata del territorio della Regione Lazio comunicati agli uffici del Garante dei detenuti -, nel carcere di Rieti i positivi al Covid-19 risultano questa settimana oltre 101: un detenuto ogni tre.
Dai primi 18 casi segnalati il 14 febbraio, e stabilizzatosi il contagio per tre settimane intorno ai 50 casi, oggi viene riportato il raddoppio degli stessi.

Sabina Radicale ringrazia l’opera del Garante Regionale che fornisce alla città elementi per vedere qualcosa oltre quelle mura; si rammarica però della mancata nomina, da parte delle due ultime amministrazioni, del Garante Comunale, figura a titolo gratuito istituita già nove anni fa.

Anche i detenuti di Rieti firmano per il Referendum Cannabis

e riemerge necessità della nomina del Garante Comunale

Sono questi i giorni del deposito in Cassazione delle firme per la richiesta di Referendum Cannabis Legale, raccolta che aveva immediatamente raggiunto, con il solo online, le 500mila sottoscrizioni necessarie.

Con la proroga per la consegna a fine ottobre, necessaria ai Comuni per riuscire a certificare le firme, si era nel frattempo aperta la possibilità di firme anche “con la penna biro”.

Sabina Radicale ha pensato di approfittarne per darne la possibilità anche ai detenuti di Rieti, nella Casa Circondariale dove, secondo il rapporto Antigone di fine anno, un detenuto su quattro è classificato come “tossicodipendente in trattamento”.

Quindi, dopo l’accesso di settembre per i referendum Giustizia Giusta ed Eutanasia Legale, ci siamo recati di nuovo al carcere di Rieti in una delegazione composta da Marco Giordani e Marco Arcangeli, a cui si è unita Morena Fabi presidente della Camera Penale di Rieti, in veste di autenticatrice.

La proposta di referendum è stata accolta molto positivamente dai detenuti. Ricordiamo che secondo il “Libro Bianco” di Forum Droghe un detenuto su tre entra in carcere per violazione del solo art. 73 (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope), escludendo quindi l’art. 74 che ne punisce l’associazione. Essi conoscono quindi molto bene il tema: non sono mancate considerazioni da parte di detenuti sulla necessità di legalizzare al fine di togliere i profitti alla mafia; qualcuno ha persino convintamente firmato pur dichiarando che “nonostante questo gli avrebbe tolto il lavoro” (che evidentemente avrebbe intenzione di non riprendere una volta tornato alla vita libera).

Benché la nostra non fosse una visita ispettiva, diversi detenuti ci hanno chiesto un riferimento per perorare proprie richieste (tutte in qualche modo collegate alla necessità di salvaguardia dei propri affetti familiari, base per una nuova vita a fine pena).

Dall’amministrazione ci è giunta invece la considerazione che alla frequenza delle nostre visite non corrisponda un pari impegno da parte della città, intesa come amministratori ma anche come “società civile”. Non solo mancano opportunità di lavoro, ma ci sarebbe bisogno di più occasioni di cultura, di attività, di interscambio e conoscenza; ma anche di sensibilizzazione dei cittadini liberi da parte delle amministrazioni. A mo’ di esempio, ricordiamo come In una visita del 2018, segnalando la povertà degli attrezzi della palestra, invitavamo il Consigliere delegato allo sport ad attivarsi verso le palestre cittadine per una donazione di attrezzature nella abituale rotazione delle stesse; non ci fu riscontro, se non ironie sui social.

Crediamo che quanto, pur a margine della raccolta, abbiamo raccolto dai principali attori di quel mondo segnali ancora una volta la mancanza di un Garante per i Diritti delle Persone Private della Libertà Personale, che sia più prossimo di quello regionale e che si interfacci con la città; cioè quanto il Comune di Rieti prevede con quella figura, istituita otto anni fa ma mai nominata dalle due amministrazioni che si sono finora succedute. 

Non ci illudiamo che questo sia un tema delle prossime elezioni ma, per quanto riguarda Sabina Radicale, sarà una condizione.

Segnalata una zecca nel carcere di Rieti

Sabina Radicale segnala che Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, riporta sul proprio profilo FB di aver ricevuto per posta da un detenuto del carcere di Rieti una zecca, rinvenuta nell’Istituto. Dalla foto sembra che si tratti pare di una zecca molle, cioè non quella che vive all’aperto ma quella cosiddetta “dei piccioni” perché spesso associata e veicolata da questi animali e che trova il proprio habitat in sottotetti, torri, edifici abbandonati.

Il carcere di Rieti ha carte in regola per essere uno dei migliori dal punto di vista igienico, con ogni cella dotata di doccia ed acqua calda e personale e dirigenza attenti. Purtuttavia ci viene da pensare che esistano all’interno dell’istituto delle aree in cui il parassita ha modo di stanziare, in attesa di un ospite (necessariamente umano, nella circostanza) di cui nutrirsi.

Ci auguriamo che l’accaduto, di certo segnalato anche alla ASL, sia seguito al più presto da una opportuna disinfestazione.

Sabina Radicale ricorda come il Comune di Rieti debba ancora procedere alla nomina del proprio “Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale”, figura istituita ben otto anni fa; nomina ancor più pressante oggi che è attiva in città anche una REMS, Residenza per autori di reato affetti da disturbi mentali.

Il Garante che esiste ma non c’è

Su carcere e REMS di Rieti, i richiami di Ministro e Prefetto.

La recente pubblicazione delle violenze ai danni dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere ha acceso una luce su quanto sia avvenuto in quei giorni, non solo lì ma anche a Modena, a Rieti.

Anche da Rieti infatti, dove neppure il numero di decessi fu definitivamente chiarito (organi nazionali di stampa riportarono un successivo decesso rispetto ai tre immediati, mai smentito ma non confermato nei rapporti), fu data notizia da parte di parenti di detenuti di violenze occorse nel post rivolta.

Successivamente alla evidenza “visiva” di quanto accaduto in Campania, giornali nazionali e locali hanno riportato di una inchiesta in corso anche dalla Procura della Repubblica di Rieti.

Questa inchiesta si affianca a quella interna disposta dalla Ministero di Giustizia in tutte le carceri in cui si sono svolte le rivolte, quindi inclusa Rieti.

Sabina Radicale attende le risultanze dell’inchiesta, fiduciosa nel nuovo corso che il Ministero sembra aver intrapreso. Un nuovo corso a cui la Ministra invita tutti a prendere parte, invitando nel suo discorso “chi non è mai stato in un carcere, voi tutti onorevoli lo potete fare, lo faccia, fatelo”[1].

Un invito non retorico, quasi un rimprovero – nonostante l’applauso – giacché le visite in carcere da parte dei parlamentari sono tutt’altro che frequenti. Anche nel nostro istituto, non ricordiamo in questi anni visite di alcuno dei quattro parlamentari che fanno in qualche modo riferimento a Rieti.

In questi giorni è stata inaugurata a Rieti una REMS, che è la struttura sanitaria per gli autori di reato non imputabili, perché affetti da infermità mentale, ma indicati come socialmente pericolosi. Il Prefetto di Rieti, nel suo saluto, ha rimarcato che “un aspetto su cui tutti dobbiamo impegnarci è la percezione, da parte della società, di questo fenomeno”.

E la società, la cittadinanza è in primis rappresentata, oltre che dai parlamentari – assenti perché impegnati in Parlamento proprio sul DDL Giustizia – dal Comune di Rieti, che non abbiamo visto intervenire.

Comune di Rieti che ricordiamo ha istituito oltre otto anni fa il “Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale”. Garante istituito con un voto unanime, quindi anche della allora opposizione di destra, ma che il Consiglio Comunale non si è mai dato pena di nominare, nonostante Sabina Radicale periodicamente lo rammenti.

Crediamo allora che questo sia il momento, sia per l’inchiesta in corso in Procura, sia per la istituzione della REMS, che il Consiglio Comunale, ma anche la politica tutta che si prepara alle nuove elezioni, si facciano parte attiva, impegnandosi nel ruolo e responsabilità a cui sono chiamati, come sollecitato dal Signor Prefetto.


[1] Dal discorso di Marta Cartabia alla Camera dei Deputati del 21 Luglio nella informativa urgente del Governo sui fatti accaduti nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere:

” [..] Chi non è mai stato in un carcere, voi tutti onorevoli lo potete fare, lo faccia, fatelo (Applausi), perché un conto è vedere un reparto di alta sicurezza, un conto è vedere un’articolazione di salute mentale, un conto è vedere il reparto delle donne spesso operose, un conto è vedere le situazioni di marginalità che portano tante persone in carcere, pur avendo commesso delitti o reati di dimensioni e di portata molto diversa da quelle di altri. [..]”